Grazie all’interessamento del deputato belga Pascal Arimont, che si è preso a cuore la nostra causa, EMEC (la Coalizione Europea per la ME) ha potuto avere un incontro costruttivo con i rappresentanti della Commissione Europea. Sembrano aver colto le nostre esigenze e ci sono buone prospettive.
Grazie a Facebook Christine ha condiviso la sua esperienza quando, da ammalata di CFS ME, ha deciso di raccontare cosa le succede all’esaurimento delle sue energie: entra in una specie di coma che nessuno considerava diverso da uno svenimento normale finchè lei stessa non l’ha spiegato ai sanitari.
Ci sembra molto importante che ognuno possa fare tesoro di questa testimonianza parlandone con i propri cari e con le persone con cui si dovrà rapportare soprattutto in ambito medico.
“Paralisi nell’Encefalomielite Mialgica (ME)
Nonostante la paralisi sia riconosciuta come uno dei sintomi appartenenti alla ME, generalmente non viene trattata come parte integrante della malattia, nemmeno nei casi di ME grave/molto grave: viene ignorata, sottovalutata o considerata come non reale.
Ma allora chi tratta o prende seriamente in considerazione la paralisi come sintomo, soprattutto nei casi di Severe ME? E chi sta facendo ricerche sulla paralisi nella ME?
L’esperienza di Christine, una donna affetta da Severe ME con episodi di paralisi.
Solo quando ho letto per la prima volta i primi libri di Greg Crowhurst ho scoperto che anche altri pazienti avevano avuto esperienze di paralisi. Nel mio caso, le paralisi sono sempre scatenate da un evento, tipicamente uno sforzo che eccede i miei limiti. Non riesco ad aprire gli occhi, a muovermi, a parlare, ma riesco a sentire, divento ipersensibile, il dolore aumenta e sento che il mio corpo potrebbe addirittura cadere giù dal letto involontariamente se solo qualcuno poggiasse una tazza sul piattino. Eppure non riesco a fare il benché minimo movimento volontario.
Il mio dentista ha assistito ad un episodio e lo ha definito un blocco neurologico. Le mie estremità diventano fredde, il battito rallenta e la pressione scende di colpo. La temperatura del mio corpo sale e raggiunge anche i 37.6° ma nessuno può accorgersi degli arti congelati! Riesco a pensare ma non riesco a dire una parola. Sono in grado di fare un discorso nella mia mente e mi chiedo cosa non capiscano gli infermieri e lo staff dei medici, visto che fanno l’esatto opposto di quello di cui ho bisogno: urlano “Christine! Christine! mi senti? apri gli occhi se mi senti!” Io li sento, mi fanno male perché urlano e scuotono il letto, ma non riesco a rispondere.“E’ in coma, i suoi occhi tremano” dicono loro, mentre io cerco con tutta l’anima di aprire gli occhi ma soltanto le ciglia si muovono appena, come unico risultato del mio immenso sforzo. Li sento annunciare “Sta avendo un attacco epilettico!” No, sto solo cercando di aprire gli occhi!
Nell’assoluta impotenza di sapere che questo momento passerà – ma senza sapere come poter intervenire – prima che io sia finalmente in grado di comunicare le mie esigenze, il personale sanitario e i medici avranno inflitto involontariamente ancor più dolore e disagio al mio corpo già torturato. Ci possono volere anche quattro ore prima che io possa fare un discorso di senso compiuto, con parole corrette. Le penso, le organizzo nella mente, ma poi, quando trovo l’energia per far uscire un sussurro dalla bocca – uno sforzo che va ben oltre la mia sopportazione, per riuscire a spiegare i miei bisogni – magari nessuno lo sente o, peggio, viene trascurato. L’energia utilizzata per emettere quel sussurro, per quel tentativo di comunicazione, alla fine mi consuma e devo attendere di riprendermi per provare di nuovo, per cercare di spiegare che sto vivendo una paralisi al personale dell’ospedale che nemmeno mi ascolta!
Se invece, molto ipoteticamente, qualcuno mi prende la mano e mi fa una domanda che richiede un semplice “Sì” come risposta – per esempio ′′Christine, mi senti?” – sussurrando sottovoce e lentamente; se mi da il tempo di mandare un messaggio alla mano, dato che il mio cervello ha bloccato i processi neuronali del movimento; se faccio un immenso sforzo per costruire il segnale e muovere un dito, allora posso rispondere con un leggero movimento delle dita, ma chi fa la domanda deve essere sensibile ad ogni minimo tremore, perché questo è tutto quello che posso fare e mi sfinisce.
Mi ci sono voluti diversi anni per arrivare ad avere un Piano Cura scritto che descriva correttamente la paralisi, cosicché oggi, quando capita, mi vengono subito somministrati sedativi per via endovenosa, in modo da farmi riposare e in modo che le mie energie si concentrino solo sugli organi vitali, senza essere ulteriormente sprecate nella relazione con l’ambiente circostante. Anche se a volte la paralisi colpisce solo i miei arti, e quindi sono in grado di parlare lentamente e fare le mie richieste, devo comunque spiegare perché i sedativi via flebo favoriscono il mio recupero, perché i medici non lo capiscono. Dopo anni di tortura, sono riuscita ad arrivare ad una situazione in cui le mie esigenze sono documentate e chi mi conosce in ospedale è consapevole e preparato; ma se incontro personale nuovo per me, che non ha letto il Piano Cura o non lo conosce, allora entro nello stesso inferno di prima.
Eppure sono fortunata, l’inferno passa. Ci vogliono settimane per riprendermi dall’attacco, forse mesi per tornare ai livelli di funzionalità che avevo precedentemente. Se ci riesco, e magari raggiungo un livello di funzionalità anche più elevato, allora questo mi rende una fortunata tra i malati di ME, perché posso ritornare a vivere al (mio) meglio. E invece, posso davvero pensare alla possibilità in cui quell’inferno non passi? No, non credo di essere abbastanza forte da contemplare una simile possibilità – eppure sono una persona incredibilmente forte – ma pensare di vivere in quell’orrenda condizione, al di sotto della soglia di sopravvivenza, è una ipotesi che va oltre la mia immaginazione.
Una volta ho chiesto a un consulente medico perché nessuno ha mai pensato di fare una risonanza magnetica per vedere cosa succede durante l’attacco e la risposta è stata: “dovremmo indurre la paralisi, perché dovremmo volerlo fare?” Non c’è interesse a identificare qual è il vero problema, sono ancora tutti determinati a classificarlo come un malessere psicologico.
Il dentista dell’ospedale, l’ultima volta che la paralisi si è verificata mentre ero con lui, (i dentisti privati non mi toccano nemmeno…), ha registrato i valori della pressione e del battito cardiaco prima, durante e dopo il lavoro, e ha riscontrato un aumento iniziale, una improvvisa caduta e la successiva stabilizzazione su valori bassi. L’ambulanza è arrivata per portarmi al pronto soccorso dello stesso ospedale e io ho pensato che i medici avrebbero detto “donna + dentista = attacco di panico”. E così hanno detto. Il dentista ha mostrato loro le misurazioni della pressione e del battito cardiaco, che non aveva buttato, con l’unico risultato di vederli perplessi mentre si grattavano la testa. Allora hanno cominciato a chiedere al dentista qualcosa della ME perché non ne sapevano nulla!
Perché bisogna arrivare a questi estremi per suscitare l’interesse degli operatori sanitari? Perché non si codifica un processo per ascoltare e rispondere in un modo che davvero risolva i problemi che noi malati affrontiamo? Sono fortunata perché ora la paralisi mi è stata riconosciuta, ma ci sono voluti anni di lotte durante i tanti accessi al pronto soccorso.
Non essere creduti ed essere respinti sono sensazioni terribili. Ricordo di aver letto il libro di Greg Crowhurst qualche anno fa e di aver pensato “allora non sono sola, ce ne sono altri là fuori!” Persone diverse sembrano sperimentare la paralisi in modi diversi, ma pare che i medici non siano nemmeno a conoscenza di questa possibilità. Penso che dovremmo chiedere ai pazienti di tutto il mondo di raccontare le loro esperienze e il loro punto di vista e poi creare una raccolta.
Mi ci sono voluti diversi episodi di paralisi avvenute in ospedale perché i medici ammettessero che è “qualcosa′′ che esiste in me. E poi anni per fare in modo che formalizzassero un Piano Cura per gestirla. Ma riescono a vedere la paralisi come parte riconosciuta dell’ME? Non c’è possibilità! L’unico riferimento che ho visto nei documenti relativi a questa patologia è stato nella versione completa del Canadian Consensus Criteria for ME/CFS del 2003, ed era un solo rigo.
Nel 2012 e nel 2013 ho fatto due test di resistenza su tapis roulant: il primo è durato 90 secondi e il successivo solo 60 secondi, prima che lo staff medico mi fermasse perché il battito cardiaco era arrivato a 160 battiti al secondo. Ovviamente il battito era aumentato troppo rapidamente e io sono entrata in paralisi. Di solito, invece, c’è un ritardo temporale: mi accorgo che la paralisi sta arrivando e che ho forse 10-30 minuti per avvisare qualcuno.
Un’altra volta ho preso una tazza di tè con l’ergoterapista (terapista occupazionale) e mi sono alzata per farlo, ma subito ho sentito di essermi spinta troppo oltre: è stato troppo difficile anche tenere la testa diritta e sono stato riportata in reparto e messa a letto, dove sono entrata in paralisi.
TAC, risonanza magnetica con mezzo di contrasto e angiogramma con contrasto mi fanno lo stesso effetto, però almeno posso fare una risonanza magnetica senza contrasto. Anche la tachicardia protratta per troppo tempo o oltre una soglia limite mi scatena la paralisi, ma ci sono anche altre cose.
L’anno scorso ho fatto in intervento in anestesia generale e i medici hanno approfittato dell’occasione per farmi alcuni controlli di routine e qualche piccolo lavoro dentale: alla fine sono uscita dall’anestesia in paralisi. L’anestesista aveva usato dosaggi di breve durata ed era del tutto consapevole che avrei potuto risvegliarmi in piena paralisi. Sono stata curata brillantemente e sono stata sotto osservazione per quattro ore, mentre i medici monitoravano la paralisi e mi somministravano antidolorifici, e hanno aspettato che fossi almeno in grado di sussurrare prima di rimandarmi in camera mia.
L’enorme differenza di conoscere la procedura che avevamo preparato per questo evento – che l’anestesista e il suo staff sapevano cosa cercare e come gestirmi – ha significato che la mia ripresa fosse molto più veloce. Sono stata in ospedale per quattro settimane, mentre la volta precedente ci sono voluti due mesi perché non era stata messa in atto né la procedura né la formazione del personale. Questo dimostra chiaramente cosa può succedere quando il personale medico ascolta davvero i pazienti e lavora con loro come partner… Eppure ci sono voluti anni di discussioni con l’ospedale, di successivi rifiuti di terapia, anni in cui mi sono sentita dire che era tutto un fenomeno psicologico… la solita roba, prima che finalmente mi ascoltassero e che pianificassero insieme con me il Piano Cura.
A Vicenza la ventesima edizione di “Azioni Solidali” a cura del locale Centro di Servizio al Volontariato quest’anno ha visto le Associazioni riempire – simbolicamente ma “letteralmente” – Piazza dei Signori, e noi non potevamo mancare!
Video di presentazione di “In poche parole” opuscolo creato da www.cfsitalia.it e CFS/ME Associazione Italiana OdV con le testimonianze di ammalati, familiari e medici.
La bellissima e toccante colonna sonora è stata appositamente scritta e suonata da un ragazzo ammalato di CFS ME che ha contribuito anche al montaggio del video.
E’ disponibile su Amazon sia in formato cartaceo che digitale. Nel tempo trascorso dalla pubblicazione sono cambiate le denominazioni delle associazioni ma l’impegno alla divulgazione ed al supporto degli ammalati resta prioritario, con l’aiuto di tutti ognuno per quello che può.
In una settimana in cui abbiamo sentito che i casi di Covid-19 sono raddoppiati a livello globale nelle ultime sei settimane a 12 milioni, il principale consulente medico del presidente Trump sulla crisi del coronavirus ha mostrato un rispetto per ME/CFS che non era mai stato reso così pubblico prima d’ora. Il dottor Anthony Fauci, che ha attraversato la fase della pandemia mondiale, solitamente all’ombra del Presidente, ha detto ieri a una conferenza stampa organizzata dalla Società Internazionale per l’AIDS che i sintomi osservati nei malati di Covid-19 a lungo termine assomigliavano a quelli osservati nei pazienti con M.E.
“Oltre ad indicare un nuovo studio (16 giugno 2020), mi sembra che riassuma bene le informazioni che già avevamo, giustificando ogni punto con link di letteratura.” Giada Da Ros
“1/ Il problema con l’encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica #MECFS è che sembra ridicolo che l’esercizio fisico possa effettivamente peggiorare i pazienti. Come può l’esercizio fisico essere così negativo per i #pwME (pazienti con la ME cioè) ma così positivo per quasi tutte le altre malattie gravi?
2/ Un nuovo studio di @4WorkWell @sunsopeningband et al mostra che i pazienti di #MECFS hanno difetti metabolici che non possono essere spiegati da fobie da esercizio, decondizionamento o “credersi malati”. I #pwME hanno ridotto il consumo di ossigeno durante i test da sforzo:https://buff.ly/2CXH6Hj
Abstract dello studio al link: Premessa: La diminuzione delle prestazioni nel test da sforzo cardiopolmonare (CPET) indica la base fisiologica per la riduzione della capacità di svolgere le attività della vita quotidiana e del lavoro. Quindi, può essere un biomarcatore per l’encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica (ME/CFS). Obiettivo: determinare le proprietà statistiche delle misurazioni cardiache, polmonari e metaboliche ottenute durante la CPET nelle persone con ME/CFS. Metodi: Cinquantuno femmine con ME/CFS e 10 femmine sedentarie con età e massa corporea simili hanno ricevuto misurazioni cardiache, polmonari e metaboliche durante 2 CPET separate da 24 ore. L’analisi bidirezionale dei calcoli della varianza e della dimensione dell’effetto (Cohen’s d) sono stati utilizzati per valutare l’entità e la significatività statistica delle differenze nelle misurazioni tra i gruppi. L’affidabilità delle misurazioni CPET è stata stimata utilizzando i coefficienti di correlazione intraclasse (formula 2,1; ICC2,1). La risposta delle misurazioni CPET è stata valutata utilizzando la variazione minima rilevabile al di fuori dell’intervallo di confidenza del 95% (MDC95) e i coefficienti di variazione (CoV).
Risultati:Le misurazioni CPET hanno dimostrato un’affidabilità da moderata ad alta per gli individui con ME/CFS. Confrontando i soggetti con ME/CFS e i soggetti di controllo si sono ottenuti dimensioni di effetti da moderati a grandi su tutte le misurazioni CPET. L’MDC95 per tutti gli individui con ME/CFS ha generalmente superato i soggetti di controllo e i CoV per le misurazioni CPET sono stati comparabili tra i gruppi. Conclusioni: le misurazioni CPET dimostrano un’adeguata reattività e riproducibilità per la ricerca e le applicazioni cliniche.
3/ I #pwME hanno una ridotta capacità di aumentare il loro consumo di ossigeno durante l’esercizio fisico. Questo è completamente diverso da ogni altra malattia che conosciamo, comprese le malattie cardiovascolari, le malattie polmonari, le malattie renali allo stadio finale, l’ipertensione e la fibrosi cistica.
4/ E i pazienti di #MECFS mostrano anche un ridotto consumo di ossigeno e una ridotta soglia anaerobica rispetto alla sclerosi multipla. I pazienti di MECFS sono malati non decondizionati, malati non stanchi, malati non deboli (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/cpf.12460…)
5/ Il test da sforzo fornisce una spiegazione del perché i pazienti di #MECFS possono andare in crash anche dopo uno sforzo modesto. La ridotta capacità aerobica dei #pwME si traduce in un passaggio al #metabolismo anaerobico che probabilmente influisce sulla loro capacità di svolgere semplici attività quotidiane. (https://www.frontiersin.org/…/10.3389/fped.2019.00082/full)
6/ E i pazienti di MECFS possono ‘crollare’ se si sforzano troppo, causando un malessere post-sforzo #PEM. L’attivazione della #PEM riduce la soglia alla quale il #metabolismo anaerobico accelera, che compromette la capacità dei pazienti di svolgere compiti non impegnativi. (https://translational-medicine.biomedcentral.com/…/1479…)
7/ E l’esercizio fisico che scatena #PEM nei pazienti di #MECFS porta a una risposta infiammatoria immunitaria sostenuta che è distinta da quella delle persone sedentarie o decondizionate @PLOSONE #MedEd#MalatiNonStanchi (https://journals.plos.org/plosone/article…)
8/ Gli esseri umani utilizzano il metabolismo aerobico per la maggior parte delle attività quotidiane, come camminare e svolgere attività sedentarie. Ma una ridotta capacità aerobica dei pazienti #MECFS costringe probabilmente a un passaggio a un metabolismo anaerobico meno efficiente che porta ad un affaticamento prematuro e #PEM (https://www.frontiersin.org/…/10.3389/fped.2018.00242/full)
9/ Gli studi sull’esercizio fisico mostrano anche che la maggiore dipendenza da metabolismo anaerobico nei pazienti #MECFS si traduce in un aumento dei metaboliti come l’acido lattico che probabilmente porta ad un’incapacità di mantenere il lavoro e ad una riduzione dell’attività (https://academic.oup.com/ptj/article/93/11/1484/2735315)
10/ I fisioterapisti dovrebbero essere consapevoli del fatto che il malessere post-sforzo PEM nei pwME è dovuto a deficit del metabolismo oggettivamente misurabili. Quindi sì, l’esercizio fisico è benefico per quasi tutte le malattie…ma la scienza dimostra che MECFS è l’eccezione…(https://academic.oup.com/ptj/article/93/11/1484/2735315)
Questa recensione di @4WorkWell in @FrontiersIn discute come il test da sforzo cardiopolmonare CPET può essere usato per aiutare la diagnosi e la ricerca di MECFS. Questa tabella fornisce una lista di definizioni utili per pazienti e medici per indagare la #MECFS (https://www.frontiersin.org/…/10.3389/fped.2018.00242/full)
L’associazione giapponese di ME/CFS che si chiama Japan ME Association (https://mecfsjapan.com/) ha annunciato la diffusione internazionale di “Hope to Our Hands” (La speranza nelle nostre mani): la storia nascosta della ME/CFS in Giappone”, una versione sottotitolata in inglese del loro film documentaristico sui pazienti di ME in Giappone. Può essere vista in streaming o scaricata su VIMEO al link sotto (il costo è minimo).
Originariamente creato nel 2018 per sensibilizzare i responsabili delle politiche sanitarie del governo e il pubblico in generale in Giappone, viene ora per la prima volta presentato a un pubblico internazionale sottotitolato in inglese prodotto da una versione abbreviata destinata ai professionisti medici giapponesi.
La situazione dei pazienti giapponesi ME/CFS è sconosciuta al di fuori del Giappone. La maggior parte dei pazienti giapponesi non ha la conoscenza dell’inglese per accedere alle informazioni online dall’estero. In mezzo a questo isolamento, il governo e la professione medica giapponese hanno continuato a trascurare la malattia come una malattia “da fatica” con fattori psicogeni negli ultimi 30 anni. È anche la storia della Japan ME Association, fondata da Mieko Shinohara, che si è ammalata di ME mentre studiava all’estero negli Stati Uniti, e degli sforzi dei pazienti per creare un necessario cambiamento.
Raccomandata dal presidente dell’Associazione Medica Giapponese e dall’ex presidente della Società Giapponese di Neurologia e con il forte sostegno dei pazienti e dei medici, la speranza è che, condividendo il documentario, il Giappone possa iniziare ad unirsi alla comunità internazionale ME/CFS per aiutare i pazienti.
Il più esteso studio genetico sulla CFS ME ha ottenuto il finanziamento da parte del Parlamento Inglese. Queste le schermate del sito www.decodeme.org.uk
Come potrete leggere tutti possiamo iscriverci, in poche ore si sono già raggiunti i 10.000 nominativi! Non vi è obbligo di partecipazione futura che è comunque subordinata al non raggiungimento del numero necessario fra pazienti e controlli inglesi.
Last Updated: 16 Maggio 2021 by redazione Commenta
L’EMEC HA POTUTO AVERE UN INCONTRO COSTRUTTIVO CON I RAPPRESENTANTI DELLA COMMISSIONE EUOROPEA
Grazie all’interessamento del deputato belga Pascal Arimont, che si è preso a cuore la nostra causa, EMEC (la Coalizione Europea per la ME) ha potuto avere un incontro costruttivo con i rappresentanti della Commissione Europea. Sembrano aver colto le nostre esigenze e ci sono buone prospettive.
EMEC ha avuto modo di consegnare il documento strategico, che trovate qui in italiano: http://www.stanchezzacronica.it/…/EMECdocumentostrategi…
E qui in inglese: https://europeanmecoalition.com/…/EMEC-Briefing…
https://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.stanchezzacronica.it%2Fpdf%2FEMECdocumentostrategico%2520.pdf%3Ffbclid%3DIwAR3QQSQMUMC73pY3DwZsk7hRSz4-75FM-ooKtZFKnMxeNESHVPlaRB20sdE&h=AT1UrL0ynVln5C6SLsAVsOjtUh32p0DKiHOhq3lsyzD4Y-qyS6EIEYHQv4xYjjr1KM246MFWOLoL1NiAtag4YvE-6LoznWqIzIDqKQhNVyjfEEX3fqtP9zgcx6rLbObUhMQe&tn=H-y-R&c[0]=AT2zsK2ezqGnz6FLhvkY0Y72S7823osBNg6otlx6TzjdKPc3suKCm63UR5gCgtsGABlDWS6TIcOWKVPTZZxTB5RYDWvx9oJMxFajQ-T-XCvpOkWRHV4E8sH8lkTYJqbN9EthMw0I1MpTlvgkw3V-a-RmNuVNftKUtjMlGsi5lsVWpyop0LjlzLfbHpbQX3TP773gJ_8
Last Updated: 10 Maggio 2021 by redazione Commenta
IL TIME DEDICA UN BUON ARTICOLO A COVID-LUNGO E CFSME
Il TIME dedica un buon articolo a COVID-lungo e CFSME https://time.com/5897992/long-haul-coronavirus-me-cfs/
https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Ftime.com%2F5897992%2Flong-haul-coronavirus-me-cfs%2F%3Ffbclid%3DIwAR05dr5B0sfTmodWLDJz5tufUUfVmwMyg6cAb2983XcsO-RDnAP2jZ76-wY&h=AT0VALv7nfJNruEgGthlRzhUjkAaG-c4kWYYFuNthhqlH4o5NTzIbb5GQAXcT8O8i5Bky305mo7JTDBjAO8RN2QEGpCbGUVAXsXHPQ5l4mI0MRuzVXZsunb6-sGtlQDae4D2&tn=%2CmH-y-R&c[0]=AT3DdTW0DOFd0mizTVUyxsRSNb-REB9kSjFBK1I9Y8PcB0Ie8jnahtDPUrcLjgvXBCQN63ngRyG0K61RiVA7QCmHVf0mUYH5cQ8DkIVOEqLARC1NNAZuXXGXZ9xUPyVG_KNia_m_jCSSBhe_tc-sMmEoTgFI_rQEHtPxgSapKA5W56_m83HMwkX9M3l7of1TQuMm36s
Last Updated: 16 Maggio 2021 by redazione Commenta
L’ESPERIENZA DI CHRISTINE, UNA DONNA AFFETTA DA SEVERE ME CON EPISODI DI PARALISI
Grazie a Facebook Christine ha condiviso la sua esperienza quando, da ammalata di CFS ME, ha deciso di raccontare cosa le succede all’esaurimento delle sue energie: entra in una specie di coma che nessuno considerava diverso da uno svenimento normale finchè lei stessa non l’ha spiegato ai sanitari.
Ci sembra molto importante che ognuno possa fare tesoro di questa testimonianza parlandone con i propri cari e con le persone con cui si dovrà rapportare soprattutto in ambito medico.
“Paralisi nell’Encefalomielite Mialgica (ME)
Nonostante la paralisi sia riconosciuta come uno dei sintomi appartenenti alla ME, generalmente non viene trattata come parte integrante della malattia, nemmeno nei casi di ME grave/molto grave: viene ignorata, sottovalutata o considerata come non reale.
Ma allora chi tratta o prende seriamente in considerazione la paralisi come sintomo, soprattutto nei casi di Severe ME? E chi sta facendo ricerche sulla paralisi nella ME?
L’esperienza di Christine, una donna affetta da Severe ME con episodi di paralisi.
Solo quando ho letto per la prima volta i primi libri di Greg Crowhurst ho scoperto che anche altri pazienti avevano avuto esperienze di paralisi. Nel mio caso, le paralisi sono sempre scatenate da un evento, tipicamente uno sforzo che eccede i miei limiti. Non riesco ad aprire gli occhi, a muovermi, a parlare, ma riesco a sentire, divento ipersensibile, il dolore aumenta e sento che il mio corpo potrebbe addirittura cadere giù dal letto involontariamente se solo qualcuno poggiasse una tazza sul piattino. Eppure non riesco a fare il benché minimo movimento volontario.
Il mio dentista ha assistito ad un episodio e lo ha definito un blocco neurologico. Le mie estremità diventano fredde, il battito rallenta e la pressione scende di colpo. La temperatura del mio corpo sale e raggiunge anche i 37.6° ma nessuno può accorgersi degli arti congelati! Riesco a pensare ma non riesco a dire una parola. Sono in grado di fare un discorso nella mia mente e mi chiedo cosa non capiscano gli infermieri e lo staff dei medici, visto che fanno l’esatto opposto di quello di cui ho bisogno: urlano “Christine! Christine! mi senti? apri gli occhi se mi senti!” Io li sento, mi fanno male perché urlano e scuotono il letto, ma non riesco a rispondere.“E’ in coma, i suoi occhi tremano” dicono loro, mentre io cerco con tutta l’anima di aprire gli occhi ma soltanto le ciglia si muovono appena, come unico risultato del mio immenso sforzo. Li sento annunciare “Sta avendo un attacco epilettico!” No, sto solo cercando di aprire gli occhi!
Nell’assoluta impotenza di sapere che questo momento passerà – ma senza sapere come poter intervenire – prima che io sia finalmente in grado di comunicare le mie esigenze, il personale sanitario e i medici avranno inflitto involontariamente ancor più dolore e disagio al mio corpo già torturato. Ci possono volere anche quattro ore prima che io possa fare un discorso di senso compiuto, con parole corrette. Le penso, le organizzo nella mente, ma poi, quando trovo l’energia per far uscire un sussurro dalla bocca – uno sforzo che va ben oltre la mia sopportazione, per riuscire a spiegare i miei bisogni – magari nessuno lo sente o, peggio, viene trascurato. L’energia utilizzata per emettere quel sussurro, per quel tentativo di comunicazione, alla fine mi consuma e devo attendere di riprendermi per provare di nuovo, per cercare di spiegare che sto vivendo una paralisi al personale dell’ospedale che nemmeno mi ascolta!
Se invece, molto ipoteticamente, qualcuno mi prende la mano e mi fa una domanda che richiede un semplice “Sì” come risposta – per esempio ′′Christine, mi senti?” – sussurrando sottovoce e lentamente; se mi da il tempo di mandare un messaggio alla mano, dato che il mio cervello ha bloccato i processi neuronali del movimento; se faccio un immenso sforzo per costruire il segnale e muovere un dito, allora posso rispondere con un leggero movimento delle dita, ma chi fa la domanda deve essere sensibile ad ogni minimo tremore, perché questo è tutto quello che posso fare e mi sfinisce.
Mi ci sono voluti diversi anni per arrivare ad avere un Piano Cura scritto che descriva correttamente la paralisi, cosicché oggi, quando capita, mi vengono subito somministrati sedativi per via endovenosa, in modo da farmi riposare e in modo che le mie energie si concentrino solo sugli organi vitali, senza essere ulteriormente sprecate nella relazione con l’ambiente circostante. Anche se a volte la paralisi colpisce solo i miei arti, e quindi sono in grado di parlare lentamente e fare le mie richieste, devo comunque spiegare perché i sedativi via flebo favoriscono il mio recupero, perché i medici non lo capiscono. Dopo anni di tortura, sono riuscita ad arrivare ad una situazione in cui le mie esigenze sono documentate e chi mi conosce in ospedale è consapevole e preparato; ma se incontro personale nuovo per me, che non ha letto il Piano Cura o non lo conosce, allora entro nello stesso inferno di prima.
Eppure sono fortunata, l’inferno passa. Ci vogliono settimane per riprendermi dall’attacco, forse mesi per tornare ai livelli di funzionalità che avevo precedentemente. Se ci riesco, e magari raggiungo un livello di funzionalità anche più elevato, allora questo mi rende una fortunata tra i malati di ME, perché posso ritornare a vivere al (mio) meglio. E invece, posso davvero pensare alla possibilità in cui quell’inferno non passi? No, non credo di essere abbastanza forte da contemplare una simile possibilità – eppure sono una persona incredibilmente forte – ma pensare di vivere in quell’orrenda condizione, al di sotto della soglia di sopravvivenza, è una ipotesi che va oltre la mia immaginazione.
Una volta ho chiesto a un consulente medico perché nessuno ha mai pensato di fare una risonanza magnetica per vedere cosa succede durante l’attacco e la risposta è stata: “dovremmo indurre la paralisi, perché dovremmo volerlo fare?” Non c’è interesse a identificare qual è il vero problema, sono ancora tutti determinati a classificarlo come un malessere psicologico.
Il dentista dell’ospedale, l’ultima volta che la paralisi si è verificata mentre ero con lui, (i dentisti privati non mi toccano nemmeno…), ha registrato i valori della pressione e del battito cardiaco prima, durante e dopo il lavoro, e ha riscontrato un aumento iniziale, una improvvisa caduta e la successiva stabilizzazione su valori bassi. L’ambulanza è arrivata per portarmi al pronto soccorso dello stesso ospedale e io ho pensato che i medici avrebbero detto “donna + dentista = attacco di panico”. E così hanno detto. Il dentista ha mostrato loro le misurazioni della pressione e del battito cardiaco, che non aveva buttato, con l’unico risultato di vederli perplessi mentre si grattavano la testa. Allora hanno cominciato a chiedere al dentista qualcosa della ME perché non ne sapevano nulla!
Perché bisogna arrivare a questi estremi per suscitare l’interesse degli operatori sanitari? Perché non si codifica un processo per ascoltare e rispondere in un modo che davvero risolva i problemi che noi malati affrontiamo? Sono fortunata perché ora la paralisi mi è stata riconosciuta, ma ci sono voluti anni di lotte durante i tanti accessi al pronto soccorso.
Non essere creduti ed essere respinti sono sensazioni terribili. Ricordo di aver letto il libro di Greg Crowhurst qualche anno fa e di aver pensato “allora non sono sola, ce ne sono altri là fuori!” Persone diverse sembrano sperimentare la paralisi in modi diversi, ma pare che i medici non siano nemmeno a conoscenza di questa possibilità. Penso che dovremmo chiedere ai pazienti di tutto il mondo di raccontare le loro esperienze e il loro punto di vista e poi creare una raccolta.
Mi ci sono voluti diversi episodi di paralisi avvenute in ospedale perché i medici ammettessero che è “qualcosa′′ che esiste in me. E poi anni per fare in modo che formalizzassero un Piano Cura per gestirla. Ma riescono a vedere la paralisi come parte riconosciuta dell’ME? Non c’è possibilità! L’unico riferimento che ho visto nei documenti relativi a questa patologia è stato nella versione completa del Canadian Consensus Criteria for ME/CFS del 2003, ed era un solo rigo.
Nel 2012 e nel 2013 ho fatto due test di resistenza su tapis roulant: il primo è durato 90 secondi e il successivo solo 60 secondi, prima che lo staff medico mi fermasse perché il battito cardiaco era arrivato a 160 battiti al secondo. Ovviamente il battito era aumentato troppo rapidamente e io sono entrata in paralisi. Di solito, invece, c’è un ritardo temporale: mi accorgo che la paralisi sta arrivando e che ho forse 10-30 minuti per avvisare qualcuno.
Un’altra volta ho preso una tazza di tè con l’ergoterapista (terapista occupazionale) e mi sono alzata per farlo, ma subito ho sentito di essermi spinta troppo oltre: è stato troppo difficile anche tenere la testa diritta e sono stato riportata in reparto e messa a letto, dove sono entrata in paralisi.
TAC, risonanza magnetica con mezzo di contrasto e angiogramma con contrasto mi fanno lo stesso effetto, però almeno posso fare una risonanza magnetica senza contrasto. Anche la tachicardia protratta per troppo tempo o oltre una soglia limite mi scatena la paralisi, ma ci sono anche altre cose.
L’anno scorso ho fatto in intervento in anestesia generale e i medici hanno approfittato dell’occasione per farmi alcuni controlli di routine e qualche piccolo lavoro dentale: alla fine sono uscita dall’anestesia in paralisi. L’anestesista aveva usato dosaggi di breve durata ed era del tutto consapevole che avrei potuto risvegliarmi in piena paralisi. Sono stata curata brillantemente e sono stata sotto osservazione per quattro ore, mentre i medici monitoravano la paralisi e mi somministravano antidolorifici, e hanno aspettato che fossi almeno in grado di sussurrare prima di rimandarmi in camera mia.
L’enorme differenza di conoscere la procedura che avevamo preparato per questo evento – che l’anestesista e il suo staff sapevano cosa cercare e come gestirmi – ha significato che la mia ripresa fosse molto più veloce. Sono stata in ospedale per quattro settimane, mentre la volta precedente ci sono voluti due mesi perché non era stata messa in atto né la procedura né la formazione del personale. Questo dimostra chiaramente cosa può succedere quando il personale medico ascolta davvero i pazienti e lavora con loro come partner… Eppure ci sono voluti anni di discussioni con l’ospedale, di successivi rifiuti di terapia, anni in cui mi sono sentita dire che era tutto un fenomeno psicologico… la solita roba, prima che finalmente mi ascoltassero e che pianificassero insieme con me il Piano Cura.
Alcune informazioni molto utili sulla paralisi da Greg Crowhurst sono disponibili a questi link sotto:https://carersfight.blogspot.com/…/severe-me…https://stonebird.co.uk/channelopathy/paralysis.htm…
https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fcarersfight.blogspot.com%2F2020%2F09%2Fsevere-me-contemplate-paralysis-if-you.html%3Ffbclid%3DIwAR3vC2pVi2zlga-ziWXDK47vShyLniO-wO1xDgbxIBTueyWUCo1QLTABUEM&h=AT1Yc8oiYhV88eUKQbHeW2HEKf1FjqzX7kAEoIQfmWc0mh1An7LAxzX8XupAfusU-DeAwL9RugwJZNgrFRw5i3aaQqiTBIZkkp7SA46gg_MG1xinJD3snQxqJSPWuZlBJYr_&tn=%2CmH-R&c[0]=AT1U8e9816UjvzRuc5nxwdf70Ap_EgaLPlFC5ArawSoZO-GWE3fhCULqj6N8RzCj85ubKSwJ_U43uATY30va4dujSMugFKlGSw8EIDzuufPVySBCTHzrXR2sTMWiOixvRng1HiMsFGvTIjSMMgCI0lfT8SE1keAKL-g1GgBXumYoNNE
Last Updated: 16 Maggio 2021 by redazione Commenta
A VICENZA LA VENTESIMA EDIZIONE DI “AZIONI SOLIDALI”
A Vicenza la ventesima edizione di “Azioni Solidali” a cura del locale Centro di Servizio al Volontariato quest’anno ha visto le Associazioni riempire – simbolicamente ma “letteralmente” – Piazza dei Signori, e noi non potevamo mancare!
Last Updated: 10 Giugno 2021 by redazione Commenta
VIDEO DI PRESENTAZIONE DI “IN POCHE PAROLE” OPUSCOLO CREATO DAL FORUM CFSITALIA E CFS/ME ASSOCIAZIONE ITALIANA ODV CON LE TESTIMONIANZE DI AMMALATI, FAMILIARI E MEDICI
Video di presentazione di “In poche parole” opuscolo creato da www.cfsitalia.it e CFS/ME Associazione Italiana OdV con le testimonianze di ammalati, familiari e medici.
La bellissima e toccante colonna sonora è stata appositamente scritta e suonata da un ragazzo ammalato di CFS ME che ha contribuito anche al montaggio del video.
E’ disponibile su Amazon sia in formato cartaceo che digitale. Nel tempo trascorso dalla pubblicazione sono cambiate le denominazioni delle associazioni ma l’impegno alla divulgazione ed al supporto degli ammalati resta prioritario, con l’aiuto di tutti ognuno per quello che può.
https://www.youtube.com/watch?v=f6wPOh2c7bA
YOUTUBE.COMPresentazione eBook “In poche parole…quelle dei malati CFS/ME”.Acquista qui il tuo eBook : In poche parole… quelle dei malati CFS/ME.: Una stanchezza che non passa
Last Updated: 16 Maggio 2021 by redazione Commenta
LUCIA LIBONDI TESTIMONIA LA SUA ESPERIENZA CON ALCUNI DEI SUI SINTOMI DELLA CFS/ME
Last Updated: 10 Maggio 2021 by redazione Commenta
IL DOTTOR ANTHONY FAUCI HA DETTO AD UNA CONFERENZA STAMPA CHE I SINTOMI OSSERVATI NEI MALATI DI COVID A LUNGO TERMINE ASSOMIGLIAVANO A QUELLI OSSERVATI NEI PAZIENTI CON M.E.
In una settimana in cui abbiamo sentito che i casi di Covid-19 sono raddoppiati a livello globale nelle ultime sei settimane a 12 milioni, il principale consulente medico del presidente Trump sulla crisi del coronavirus ha mostrato un rispetto per ME/CFS che non era mai stato reso così pubblico prima d’ora. Il dottor Anthony Fauci, che ha attraversato la fase della pandemia mondiale, solitamente all’ombra del Presidente, ha detto ieri a una conferenza stampa organizzata dalla Società Internazionale per l’AIDS che i sintomi osservati nei malati di Covid-19 a lungo termine assomigliavano a quelli osservati nei pazienti con M.E.
MEASSOCIATION.ORG.UKAmerica’s top covid doctor turns ME/CFS into a subject for general discussion as the pandemic deepens | The ME Association
Last Updated: 10 Giugno 2021 by redazione Commenta
L’ESERCIZIO FISICO FA PEGGIORARE I PAZIENTI DI CFS/ME
A cura di Giada Da Ros
Traduzione in italiano di un thread di Twitter del dottor Mark Guthridge, postato qui: https://twitter.com/Dr_M…/status/1278308006279577601
“Oltre ad indicare un nuovo studio (16 giugno 2020), mi sembra che riassuma bene le informazioni che già avevamo, giustificando ogni punto con link di letteratura.” Giada Da Ros
“1/ Il problema con l’encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica #MECFS è che sembra ridicolo che l’esercizio fisico possa effettivamente peggiorare i pazienti. Come può l’esercizio fisico essere così negativo per i #pwME (pazienti con la ME cioè) ma così positivo per quasi tutte le altre malattie gravi?
2/ Un nuovo studio di @4WorkWell @sunsopeningband et al mostra che i pazienti di #MECFS hanno difetti metabolici che non possono essere spiegati da fobie da esercizio, decondizionamento o “credersi malati”. I #pwME hanno ridotto il consumo di ossigeno durante i test da sforzo:https://buff.ly/2CXH6Hj
Abstract dello studio al link: Premessa: La diminuzione delle prestazioni nel test da sforzo cardiopolmonare (CPET) indica la base fisiologica per la riduzione della capacità di svolgere le attività della vita quotidiana e del lavoro. Quindi, può essere un biomarcatore per l’encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica (ME/CFS). Obiettivo: determinare le proprietà statistiche delle misurazioni cardiache, polmonari e metaboliche ottenute durante la CPET nelle persone con ME/CFS. Metodi: Cinquantuno femmine con ME/CFS e 10 femmine sedentarie con età e massa corporea simili hanno ricevuto misurazioni cardiache, polmonari e metaboliche durante 2 CPET separate da 24 ore. L’analisi bidirezionale dei calcoli della varianza e della dimensione dell’effetto (Cohen’s d) sono stati utilizzati per valutare l’entità e la significatività statistica delle differenze nelle misurazioni tra i gruppi. L’affidabilità delle misurazioni CPET è stata stimata utilizzando i coefficienti di correlazione intraclasse (formula 2,1; ICC2,1). La risposta delle misurazioni CPET è stata valutata utilizzando la variazione minima rilevabile al di fuori dell’intervallo di confidenza del 95% (MDC95) e i coefficienti di variazione (CoV).
Risultati:Le misurazioni CPET hanno dimostrato un’affidabilità da moderata ad alta per gli individui con ME/CFS. Confrontando i soggetti con ME/CFS e i soggetti di controllo si sono ottenuti dimensioni di effetti da moderati a grandi su tutte le misurazioni CPET. L’MDC95 per tutti gli individui con ME/CFS ha generalmente superato i soggetti di controllo e i CoV per le misurazioni CPET sono stati comparabili tra i gruppi. Conclusioni: le misurazioni CPET dimostrano un’adeguata reattività e riproducibilità per la ricerca e le applicazioni cliniche.
3/ I #pwME hanno una ridotta capacità di aumentare il loro consumo di ossigeno durante l’esercizio fisico. Questo è completamente diverso da ogni altra malattia che conosciamo, comprese le malattie cardiovascolari, le malattie polmonari, le malattie renali allo stadio finale, l’ipertensione e la fibrosi cistica.
4/ E i pazienti di #MECFS mostrano anche un ridotto consumo di ossigeno e una ridotta soglia anaerobica rispetto alla sclerosi multipla. I pazienti di MECFS sono malati non decondizionati, malati non stanchi, malati non deboli (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/cpf.12460…)
5/ Il test da sforzo fornisce una spiegazione del perché i pazienti di #MECFS possono andare in crash anche dopo uno sforzo modesto. La ridotta capacità aerobica dei #pwME si traduce in un passaggio al #metabolismo anaerobico che probabilmente influisce sulla loro capacità di svolgere semplici attività quotidiane. (https://www.frontiersin.org/…/10.3389/fped.2019.00082/full)
6/ E i pazienti di MECFS possono ‘crollare’ se si sforzano troppo, causando un malessere post-sforzo #PEM. L’attivazione della #PEM riduce la soglia alla quale il #metabolismo anaerobico accelera, che compromette la capacità dei pazienti di svolgere compiti non impegnativi. (https://translational-medicine.biomedcentral.com/…/1479…)
7/ E l’esercizio fisico che scatena #PEM nei pazienti di #MECFS porta a una risposta infiammatoria immunitaria sostenuta che è distinta da quella delle persone sedentarie o decondizionate @PLOSONE #MedEd#MalatiNonStanchi (https://journals.plos.org/plosone/article…)
8/ Gli esseri umani utilizzano il metabolismo aerobico per la maggior parte delle attività quotidiane, come camminare e svolgere attività sedentarie. Ma una ridotta capacità aerobica dei pazienti #MECFS costringe probabilmente a un passaggio a un metabolismo anaerobico meno efficiente che porta ad un affaticamento prematuro e #PEM (https://www.frontiersin.org/…/10.3389/fped.2018.00242/full)
9/ Gli studi sull’esercizio fisico mostrano anche che la maggiore dipendenza da metabolismo anaerobico nei pazienti #MECFS si traduce in un aumento dei metaboliti come l’acido lattico che probabilmente porta ad un’incapacità di mantenere il lavoro e ad una riduzione dell’attività (https://academic.oup.com/ptj/article/93/11/1484/2735315)
10/ I fisioterapisti dovrebbero essere consapevoli del fatto che il malessere post-sforzo PEM nei pwME è dovuto a deficit del metabolismo oggettivamente misurabili. Quindi sì, l’esercizio fisico è benefico per quasi tutte le malattie…ma la scienza dimostra che MECFS è l’eccezione…(https://academic.oup.com/ptj/article/93/11/1484/2735315)
Questa recensione di @4WorkWell in @FrontiersIn discute come il test da sforzo cardiopolmonare CPET può essere usato per aiutare la diagnosi e la ricerca di MECFS. Questa tabella fornisce una lista di definizioni utili per pazienti e medici per indagare la #MECFS (https://www.frontiersin.org/…/10.3389/fped.2018.00242/full)
Intolleranza cronotropica: un determinante trascurato dei sintomi e limitazione dell’attività nell’encefalomielite mialgica / sindrome da affaticamento cronico?: https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.frontiersin.org%2Farticles%2F10.3389%2Ffped.2019.00082%2Ffull%3Ffbclid%3DIwAR2-BD8ALY54CTG_kQ_FpJMjJ15lUoMUmVkIAwjw4QzCxtEiUbq077lUnKs&h=AT32sKJM_ESV3A-Mz95853g9raA0M9OgNB7sL6AHw_epXWBKp27u6dMxas0-QlJ6EO9aUPL_1pEqYFmFYN-gMkNoL8ZxwNaVtDG1jUW_uBJ3C4hIY5R9jpiFUPxRchCpAY7p&tn=H-y-R&c[0]=AT1WHIca4FGPLzOAgarGGUBjwx0HimAcAEADFl2dCgPrZ5SoNi0dLOdGiXZ8FR7xHP_yEMOLjOxFLaktnJa5j8tg40vN90tbeKdtGztQE1pjNkKto5PRbNdPp0Aw4Sc8sHNc9vKm65DvfO0HHCuY-GRlwDozHbUjqG4SkrN1YPGyKXW3HvEkHr3_r4_6xXCk85s-K0I
Last Updated: 10 Maggio 2021 by redazione Commenta
LA JAPAN ME ASSOCIATION HA ANNUNCIATO LA DIFFUSIONE INTERNAZIONALE DI “HOPE TO OUR HANDS”
L’associazione giapponese di ME/CFS che si chiama Japan ME Association (https://mecfsjapan.com/) ha annunciato la diffusione internazionale di “Hope to Our Hands” (La speranza nelle nostre mani): la storia nascosta della ME/CFS in Giappone”, una versione sottotitolata in inglese del loro film documentaristico sui pazienti di ME in Giappone. Può essere vista in streaming o scaricata su VIMEO al link sotto (il costo è minimo).
Originariamente creato nel 2018 per sensibilizzare i responsabili delle politiche sanitarie del governo e il pubblico in generale in Giappone, viene ora per la prima volta presentato a un pubblico internazionale sottotitolato in inglese prodotto da una versione abbreviata destinata ai professionisti medici giapponesi.
La situazione dei pazienti giapponesi ME/CFS è sconosciuta al di fuori del Giappone. La maggior parte dei pazienti giapponesi non ha la conoscenza dell’inglese per accedere alle informazioni online dall’estero. In mezzo a questo isolamento, il governo e la professione medica giapponese hanno continuato a trascurare la malattia come una malattia “da fatica” con fattori psicogeni negli ultimi 30 anni. È anche la storia della Japan ME Association, fondata da Mieko Shinohara, che si è ammalata di ME mentre studiava all’estero negli Stati Uniti, e degli sforzi dei pazienti per creare un necessario cambiamento.
Raccomandata dal presidente dell’Associazione Medica Giapponese e dall’ex presidente della Società Giapponese di Neurologia e con il forte sostegno dei pazienti e dei medici, la speranza è che, condividendo il documentario, il Giappone possa iniziare ad unirsi alla comunità internazionale ME/CFS per aiutare i pazienti.
https://vimeo.com/ondemand/hopetoourhands
Hope to Our Hands: The Hidden Story of ME / CFS in Japan VIMEO.COMWatch Hope to Our Hands: The Hidden Story of ME/CFS in Japan Online | Vimeo On Demand
Last Updated: 16 Maggio 2021 by redazione Commenta
IL PIU’ ESTESO STUDIO GENETICO SULLA CFS ME HA OTTENUTO IL FINANZIAMENTO DA PARTE DEL PARLAMENTO INGLESE
Il più esteso studio genetico sulla CFS ME ha ottenuto il finanziamento da parte del Parlamento Inglese. Queste le schermate del sito www.decodeme.org.uk
Come potrete leggere tutti possiamo iscriverci, in poche ore si sono già raggiunti i 10.000 nominativi! Non vi è obbligo di partecipazione futura che è comunque subordinata al non raggiungimento del numero necessario fra pazienti e controlli inglesi.
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